Il laboratorio, con vista sulla montagna innevata. Al centro dello spazio, il tatami. Sullo sfondo, un vecchio mobile con vassoi di bambù su cui essiccano rami e cortecce, da cui vengono estratti i pigmenti per il tessuto.
Tango è a nord di Kyoto, affacciato sul mare che separa il Giappone dalla Cina, ed è conosciuto per la stagione rigida, le grandi nevicate e la corrente fredda del suo mare, che regala gustosi pesci e crostacei. Ma questa piccola città è nota soprattutto per la produzione del tessuto di seta, una fama che deriva dai tempi in cui Kyoto era la capitale, nonché la città più elegante del Giappone.Artista e tessitore di kimono,Tsutsumi vive qui ma è originario di Kyushu, un’isola a sud del Paese. Ha studiato pittura a Tokyo e si è trasferito a Tango più di vent’anni fa, da studente universitario. Per tingere il tessuto bianco di seta (“chirimen”) con cui crea preziosi kimono, questo artista setaccia i boschi in cerca di foglie, cortecce e radici da cui estrae i pigmenti, poi tesse i fili su un vecchio telaio con l’aiuto della moglie Kaori. Tsutsumi e Kaori vivono in una casa di legno che un tempo era un dormitorio per le dipendenti femminili di un’industria tessile, risistemata da loro in un anno di intenso lavoro, utilizzando materiali di recupero.
Tango è a nord di Kyoto, affacciato sul mare che separa il Giappone dalla Cina, ed è conosciuto per la stagione rigida, le grandi nevicate e la corrente fredda del suo mare, che regala gustosi pesci e crostacei. Ma questa piccola città è nota soprattutto per la produzione del tessuto di seta, una fama che deriva dai tempi in cui Kyoto era la capitale, nonché la città più elegante del Giappone.Artista e tessitore di kimono,Tsutsumi vive qui ma è originario di Kyushu, un’isola a sud del Paese. Ha studiato pittura a Tokyo e si è trasferito a Tango più di vent’anni fa, da studente universitario. Per tingere il tessuto bianco di seta (“chirimen”) con cui crea preziosi kimono, questo artista setaccia i boschi in cerca di foglie, cortecce e radici da cui estrae i pigmenti, poi tesse i fili su un vecchio telaio con l’aiuto della moglie Kaori. Tsutsumi e Kaori vivono in una casa di legno che un tempo era un dormitorio per le dipendenti femminili di un’industria tessile, risistemata da loro in un anno di intenso lavoro, utilizzando materiali di recupero.
Appeso alla parete e allestito con tre tazze e un semplice rametto, il coperchio di legno di una vecchia pentola per il riso diventa un'icona di bellezza.
Tsutsumi ama molto il senso del termine giapponese “mottainai”, traducibile come “perdere il vero carattere delle cose”. Una parola oggi usata soprattutto dagli anziani, quando si lamentano perché viene buttata la carta da imballaggio senza neanche riflettere sulla possibilità del suo riutilizzo. «Nell’arco degli anni, soprattutto quando il Giappone ha iniziato a crescere economicamente, il senso di “mottainai” è stato frainteso e collegato ai concetti di povertà o di tirchieria. Il vero significato è rispettare la vita di ogni cosa, accompagnarla fino alla fine della sua esistenza finché scompaia la sua sostanza », spiega Tsutsumi, che applica anche alla sua arte questo prezioso insegnamento. Quando i suoi kimono esauriscono l’uso di indumento, diventano copriletto, poi fodera di cuscino e infine straccio. Quando la trama è consunta, lui la disfa e ne riutilizza il filo per un nuovo tessuto.Questa coppia di artisti-artigiani ama il luogo dove può sentire il messaggio della natura e ha un grande rispetto dei materiali che respirano, come il legno, la terra e la carta. «Siamo riusciti a organizzare uno spazio piccolo in maniera molto flessibile. Ci siamo ispirati alle case “machiya” (le tipiche abitazioni a schiera strette e lunghe della Kyoto del 1700) e abbiamo utilizzato i divisori tradizionali “shoji”», le porte scorrevoli con telaio di legno e ante di carta bianca traslucida.
testo di Itaru Ito, foto di Masao Yamamoto
Tsutsumi ama molto il senso del termine giapponese “mottainai”, traducibile come “perdere il vero carattere delle cose”. Una parola oggi usata soprattutto dagli anziani, quando si lamentano perché viene buttata la carta da imballaggio senza neanche riflettere sulla possibilità del suo riutilizzo. «Nell’arco degli anni, soprattutto quando il Giappone ha iniziato a crescere economicamente, il senso di “mottainai” è stato frainteso e collegato ai concetti di povertà o di tirchieria. Il vero significato è rispettare la vita di ogni cosa, accompagnarla fino alla fine della sua esistenza finché scompaia la sua sostanza », spiega Tsutsumi, che applica anche alla sua arte questo prezioso insegnamento. Quando i suoi kimono esauriscono l’uso di indumento, diventano copriletto, poi fodera di cuscino e infine straccio. Quando la trama è consunta, lui la disfa e ne riutilizza il filo per un nuovo tessuto.Questa coppia di artisti-artigiani ama il luogo dove può sentire il messaggio della natura e ha un grande rispetto dei materiali che respirano, come il legno, la terra e la carta. «Siamo riusciti a organizzare uno spazio piccolo in maniera molto flessibile. Ci siamo ispirati alle case “machiya” (le tipiche abitazioni a schiera strette e lunghe della Kyoto del 1700) e abbiamo utilizzato i divisori tradizionali “shoji”», le porte scorrevoli con telaio di legno e ante di carta bianca traslucida.
testo di Itaru Ito, foto di Masao Yamamoto
1 comment:
Segnato nel mio taccuino da viaggio, grazie. :)
Post a Comment